Qual è il peso degli idrocarburi in Abruzzo, che sistema di valore alimentano e quale incidenza economica e occupazionale ha il settore nel presente e nel futuro della ripresa economica regionale. Queste sono le domande che stanno alla base de L’impatto economico ed occupazionale del “sistema del valore” degli idrocarburi: il caso Abruzzo, lo studio compiuto Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione e di Economia dell’Università degli studi dell’Aquila per conto di Confindustria Chieti/Abruzzo, presentato ieri al forum ospitato presso la Sala Rossa della Camera di Commercio di Chieti a Chieti Scalo.
Le cifre e il potenziale economico e occupazionale rilevato dalla ricerca a cura del professor Luciano Fratocchi, associato di Ingegneria Economico Gestionale e Massimo Parisse, contrattista di ricerca, sono stati al centro dell’incontro che ha radunato per la prima volta tutte le aziende della filiera operanti in Abruzzo e nell’offshore Adriatico, per fare anche il punto sul momento che il settore attraversa, tra crisi, opportunità di crescita e ripercussioni che il dibattito sul tema degli idrocarburi ha assunto in Abruzzo con l’insediamento dell’impianto della Medoilgas Ombrina Mare al largo della costa teatina.
Una presenza quasi storica si evince dai dati, che ad oggi interessa quasi 5.000 lavoratori, vede in Abruzzo circa 750 aziende (15 con titolo minerario, 50 dell’indotto diretto e circa 700 di quello indiretto) e le principali aziende coinvolte in modo diretto nella produzione, garantiscono salari per 73 milioni di euro l’anno (23 per le imprese con titolo minerario, circa 50 milioni l’anno per tutte le altre).
Una realtà economica radicata al territorio: oltre il 30 per cento del personale laureato impiegato nelle imprese della filiera si è formato nelle università abruzzesi.
Realtà che, contrariamente a ciò che viene da più parti affermato usa il territorio in minima parte: solo lo 0,0141% della superficie della regione Abruzzo è infatti occupato da infrastrutture dedicate alla ricerca ed alla coltivazione degli idrocarburi (centrali di raccolta e trattamento, pozzi produttivi, non in produzione e di stoccaggio), si tratta di una superficie pari a circa il 75% dell’area complessiva dell’Aeroporto d’Abruzzo.
Un sistema che detiene la più bassa incidenza di incidenti e infortuni sul lavoro dell’intero settore manifatturiero (in continua discesa: dal 2006 al 2011 si è ridotta del 2,2 per cento).
Questo il presente. Quanto al futuro, le aziende sono pronte a generare nuovi investimenti pari 1,4 miliardi di euro, che occuperà uno spazio complessivo di 1,18 kilometri quadrati di territorio (per dare un’idea si parla di un’area che sviluppa complessivamente una superficie di poco superiore a quella dell’Aeroporto d’Abruzzo). Tali investimenti produrranno occupazione aggiuntiva per almeno 800 nuove unità oltre al consolidamento del tessuto produttivo già esistente, questo anche attraverso l’insediamento dell’impianto di estrazione Ombrina Mare.
La ricerca puntualizza inoltre il fatto che insediamenti petroliferi al largo delle regioni vicine, come Marche e Puglia(ce ne sono 120 in tutto il bacino Adriatico), non hanno avuto ripercussioni sui flussi turistici delle stesse, che continuano ad essere in crescita.
Cambiare idea, conclude la ricerca, provocare un irrigidimento del settore togliendo orizzonti alla filiera, potrebbe avere un peso determinante sull’intera economia abruzzese e sulle prospettive di sviluppo nel medio e lungo periodo, trasformando il sistema idrocarburi in realtà a rischio.
Comunicato Confindustria Chieti
