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No Ombrina, 3 pillole che non vanno giù e una “Bomba” disinnescata

Riassunto "profano" delle perplessità tecniche sul progetto Ombrina mare

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Giovedì 21 maggio 2015 al Teatro del Krak si è tenuto un incontro per capire le principali criticità del progetto Ombrina mare. Il convegno, organizzato dal Wwf Zona teatina e Costa frentana è stato introdotto dalla presidente Fabrizia Arduini, che ha ripercorso brevemente tutta la storia del progetto Ombrina ed ha ricordato, cifre e studi tecnici alla mano, i danni dovuti alla scelta dell'energia fossile e di coltivazione di idrocarburi. L'incontro, dal contenuto molto tecnico, è stato coordinato da Antonio Tucci. Il pubblico presente ha potuto beneficiare delle spiegazioni di due esperti del settore: la prof.ssa Loredana Pompilio (geologa) e il prof. Francesco Stoppa (geochimico). In più, vi è stata anche la testimonianza del dott. Massimo Colonna, che ha raccontato i 5 anni di battaglia durissima, ma a lieto fine, per evitare la coltivazione di idrocarburi dal piccolo giacimento situato al di sotto del lago di Bomba.

(1) Fabrizia Arduini: il progetto non conviene e i dati della proponente non convincono

«In questi anni l'Italia è investita da una seconda corsa al petrolio, con tutti i problemi e le situazioni controverse che questo comporta a livello di ambiente, salute, biodiversità ed anche economico, perché il sistema energetico fossile, oltre ad essere superato è scientificamente molto controverso e, attualmente, è anche in controtendenza perché in alcuni casi, come in Abruzzo, è controproducente. Il petrolio e il gas italiano sono molto sporchi, così tanto che la loro estrazione comporta grandi spese in strutture speciali di raffinazione, rendendone la coltivazione davvero poco redditizia. Inoltre, spesso sono ad elevata pressione, aumentando le difficoltà delle operazioni ed il rischio di incidenti. Nonostante ciò, si susseguono progetti e governi favorevoli a discapito della biodiversità».

«Il progetto Ombrina mare parte a fine anni '70 per poi essere abbandonato dalla prima società proponente perché non conveniente. Quindi, viene più volte ripreso da altre società. Il motivo della non convenienza consiste nell'investimento necessario per garantire i margini di sicurezza, così alto da non rendere affatto redditizia l'attività estrattiva».

«La Basilicata è sempre stata tra le regioni più povere d'Italia, se non la più povera, nonostante la presenza di giacimenti di petrolio: l'economia petrolifera non ha portato nulla in termini occupazionali. La regione presenta anche la percentuale più alta a livello nazionale di morti per tumore, oltre 400 siti contaminati e un drastico dimezzamento delle aziende agricole nell'arco di 10 anni. Dati alla mano, è evidente che la scelta petrolifera non conviene».

«Si pensa che l'evento più pericoloso sia un incidente, ma gli studi dimostrano che i pericoli della coltivazione di idrocarburi sono legati agli scarti, ai rifiuti e ai fanghi rilasciati durante il normale funzionamento degli impianti. La nave-raffineria per la desulfurazione (FPSO) sporgerà per 20 metri al di sopra della linea d'acqua, quindi sarà ben visibile da tutta la costa teatina. Ma a preoccupare è anche la piccola quantità di petrolio presente, che rende l'operazione così svantaggiosa da non giustificare i vantaggi rispetto ai rischi e ai danni. Il petrolio nella zona del progetto Ombrina non solo è sporco e ad alta pressione, quindi, controproducente da estrarre, ma la quantità presente non basterebbe neanche a soddisfare un mese del fabbisogno nazionale, a fronte di 24 anni di attività inquinante, rischi per la salute e per l'ambiente. La superficialità dei dati tecnici del progetto e l'insoddisfacente la valutazione dei rischi e dell'impatto, poi, fanno preoccupare molto».

(2) Loredana Pompilio: emissioni in atmosfera sottovalutate, rischio di trasporto e deposito fumi acidi sulla costa 

«L'impianto avrà una grossa nave (FPSO) con una ciminiera dalla quale verranno dispersi in atmosfera i fumi della combustione dei prodotti di scarto. Tutto questo avverrà per 24 ore al giorno tutti i giorni nell'arco di durata prevista del progetto: 24 lunghi anni. Nella FPSO avviene la prima lavorazione, cioè la desulfurazione, con emissione di composti acidi. Ogni giorno, per il suo regolare funzionamento, emetterà 200 tonnellate di sostanze disperse nell'aria, di cui una parte è costituita da inquinanti acidi. Ossidi di zolfo, azoto, carbonio, acido solfidrico e idrocarburi non metanici. Motivo per il quale Ombrina mare non avrà personale a bordo e sarà manovrata a distanza. Come dichiarato dalla società proponente».

«Esistono strumenti precisi per calcolare le emissioni previste. Confrontandole con la stima calcolata sulla base della conformazione della ciminiera, le dichiarazioni della proponente non risultano coerenti. In tal senso, si evidenziano molte discordanze e discrepanze nei dati dichiarati, soprattutto a livello di fumi acidi, molto sottostimati. Ma ciò che più preoccupa è che, mentre la proponente ha dichiarato che le emissioni restano al di sopra della piattaforma, in realtà esiste la possibilità che possano ricadere sulla costa con conseguenze per la salute in caso di inalazione, per l'agricoltura a causa dell'acidificazione del terreno e per la pesca a causa dell'acidificazione delle acque, noché per altre attività antropiche».

(3) Francesco Stoppa: la subsidenza del terreno e i rischi geologici dell'attività estrattiva

«La subsidenza è un abbassamento del livello del suolo a forma di "imbuto" che si viene a formare naturalmente ma anche in seguito all'attività estrattiva e che attrae verso di sé altri sedimenti. Una delle migliori esperienze scientifiche l'ha fornita la costa prospiciente il ravennate, sulla quale sono state fatte diverse indagini e misurazioni scientifiche del fenomeno, nel corso delle quali è stato rilevato un dislivello da subsidenza del terreno pari a 4 metri, con il punto massimo che coincide con la zona da cui veniva effettuata l'attività estrattiva di olio e gas».

«Nei progetti presentati dalla proponente, calcoli delicatissimi vengono effettuati usando metodi alquanto discutibili che restituiscono dati e stime poco accurati. Nel caso di Ombrina, i tassi di subsidenza stimati rientrano nell'ordine dei millimetri e, con l'esperienza scientifica acquisita nel ravennate e non solo, la stima risulta paradossale. Non saranno perforati soltanto livelli di rocce stabili (carbonati che producono olio, poco mobili), ma vi sarà anche l'estrazione di gas da rocce poco compatte (molto mobili), granelli stabili solo grazie all'elevata pressione. Venendo meno la pressione con l'estrazione del gas, lo spazio tra i granelli diminuisce e se prima, in qualche modo, occupavano un volume più grande, dopo l'attività estrattiva occuperanno un volume minore. Dal loro ricollocamento, compattandosi, creano il fenomeno della subsidenza».

«In seguito alle operazioni estrattive si crea, quindi, una zona di subsidenza che, se viene a formarsi sulla terra ferma, diventa un punto di raccolta delle acque. Provocando, di conseguenza, la formazione di paludi che possono interferire con l'agricoltura, altre attività produttive umane, l'ambiente selvatico e la residenzialità. Ma nel mare crea molti più problemi perché i sedimenti marini di cui si compongono i fondali, a differenza di quelli terrestri, sono mobilissimi. Quando la subsidenza si verifica in mare, soprattutto nelle vicinanze della costa, il richiamo che si innesca coinvolgerà sedimenti dinamici che, con grande rapidità, scivolano verso questa sorta di imbuto e vi rimangono intrappolati. Il pericolo consiste proprio in questa trappola sedimentaria».

«La costa abruzzese è già colpita da una forte erosione: la terra non rifornisce più le coste di sedimenti perché il flusso dei fiumi è incostante e l'uomo ha costruito dighe che sottraggono materiale, mentre il mare continua a sottrarre sedimenti e, in più, il suo livello sta anche salendo sensibilmente. In questa situazione già grave, con la subsidenza, si aggiungerebbe un fattore scatenante di ulteriore erosione costiera. Per ipotesi, escludendo le ovvie conseguenze che soffrirebbero i balneatori e i residenti della costa, sui contribuenti abruzzesi graverebbe comunque un danno economico molto ingente dovuto alle spese per il ripascimento delle spiagge».

«Ortona è soggetta a molte frane, alcune anche gravissime come quella del 1506 o quella del 1946 che ha inghiottito buona parte del Castello Aragonese. Questi eventi non sono dovuti all'instabilità della falesia che di per sé è fatta di roccia abbastanza robusta e resistente, ma al fatto che il mare erode l'argilla ai suoi piedi provocando frane da crollo. Questo è un fenomeno normale ma, innescando il richiamo dei sedimenti marini dovuto alla zona di subsidenza, si accelera di molto la corrosione della costa e, di conseguenza anche questo fenomeno naturale, facendolo diventare abbastanza rapido da rappresentare un rischio».

«Nel caso di Ombrina il rischio è ancora più concreto per l'impianto stesso: un gigante dai piedi d'argilla nel vero senso della parola. In gergo si chiamano rocce ma, in realtà sono livelli di fango soffice pieno di gas inutilizzabile che, appena toccato, viene liberato e disperso riducendo il volume dei sedimenti. La dispersione, come descritto dai pescatori che spesso avvistano improvvise bolle di gas risalite con violenza in superficie, avviene normalmente. Ma con la subsidenza, si potrebbe verificare una risalita veloce e massiccia di questi gas accompagnata da frane e smottamenti del fondale marino: tutti fenomeni in grado di spingere l'acqua verso la costa producendo onde di tsunami che, per prima cosa, metterebbero a serio rischio la sicurezza e la stabilità dell'impianto stesso».

«In più, Ombrina è vicina a strutture sismogenetiche presenti sulla costa, quindi nelle vicinanze di una zona pericolosa. Non si può situare un impianto in una zona pericolosa perché un eventuale terremoto potrebbe danneggiarlo anche gravemente con esplosioni e perdite. Se ciò dovesse verificarsi, i soccorsi sarebbero giustamente impegnati con la popolazione e non con l'impianto, quindi un eventuale danno si protrarrebbe nel tempo. Questo non si dice nel progetto, ma andrebbe previsto. Con un terremoto nell'entroterra potrebbero verificarsi anche frane del fondale su cui poggia la struttura».

(4) Massimo Colonna, l'esperienza di Bomba: dopo 5 anni di battaglia il lieto fine

A rinforzo di quanto detto sopra, Massimo Colonna ha ripercorso l'esperienza di Bomba nella lotta contro un progetto petrolifero abbandonato da una grande società per poi essere recuperato da una più piccola. La grande società aveva scelto di lasciar perdere il progetto per la questione dei fumi, per lo scarso rendimento rispetto all'investimento e per le conseguenze prevedibili a causa della subsidenza. Conseguenze ancora più catastrofiche per la presenza della diga di Bomba che, con lo spostamento dei sedimenti, rischierebbe il crollo provocando una strage di proporzioni immense a danno dei centri abitati e produttivi a valle della diga stessa. Per gli stessi motivi per cui la prima grande società petrolifera ha abbandonato il progetto, dopo cinque anni di battaglie, il caso di Bomba finalmente giunge a lieto fine tramite il giusto iter legale.

«Il caso di Bomba -per il quale il Colonna è stato membro attivo di un comitato- insegna che, se ci si informa direttamente, si adiscono i giusti iter procedurali-legali e si evitano le divisioni, si può controbattere a qualsiasi imposizione».

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