Una porticina socchiusa, echi di strumenti lontani che risuonano intrappolati nel vicoletto e un odore deciso, quello dei colori acrilici, che traspira attraverso la piccola fessura come volesse invitare ad entrare. Abbassandomi un po' per entrare attraverso il piccolo antro, anche se per un solo istante, mi ha sfiorato il ricordo della porta bassa all'ingresso dell'Officina di D'Annunzio... è l'Atelier del maestro Mario Scarano, che si annuncia ai sensi in un tardo pomeriggio di sole, caldo e sogni.
«I miei genitori venivano ad Ortona e mi è piaciuta fin dalla prima volta. Nella vita ho fatto il Carabiniere. Quando mi hanno offerto di venire in servizio a Ortona ho accettato subito. Era il 20 settembre 1971, giorno del mio onomastico, ed io già la sentivo come una seconda patria». Anche se il maestro non è di origine ortonese, la nostra città ha sempre esercitato un fascino irresistibile du di lui, tanto da convincerlo a non lasciarla mai più.
Poi, con una nota di affetto, ricorda: «Ortona mi ha regalato la voglia di dipingere i sogni. Nel 1972 iniziai a dipingere grazie al maestro Antonio Pacaccio, un pittore che abitava davanti alla caserma quando ero in servizio. Nell'ora di disposizione io lo osservavo dipingere e con lui mi sono avvicinato all'arte. Mi disse: “Che fai, petti?” Dopo esserci conosciuti mi ha invitato ad incontrarlo di nuovo: mi ha dato tele, colori, pennelli, cavalletto, tutto... e mi ha detto: “Petta! Mettiamoci a pettare!” Così cominciai a dipingere. Qualche anno dopo arrivò la mia prima mostra a Ortona e la prima cosa che mi ha detto è stata: “Ortona è una piazza molto difficile perché subito si dice che da fè cussù... se passi a ortona, puoi andare dappertutto". Nel 1982 ho fatto la mia prima mostra nella galleria Caruso».
Da allora ha cambiato genere di pittura, all'inizio la sua ricerca si concentrava nel figurativo, in “tutto ciò che è creato perché il creato è già un'opera d'arte che ha fatto Dio". Poi, ha cominciato considerare la distinzione tra l'arte e la creatività. “Se tu crei, si può considerare arte, ma se il Creato già c'è, tu non hai fatto arte, hai solo riportato su tela un'immagine che già c'è ed è già bella, perfetta”.
Dalla ricerca dell'arte come qualcosa di unico da creare, si è rivolto verso la ricerca dei sogni, in ricordo di quando sognava da bambino. Perché “un sogno è unico, non puoi replicarlo, né puoi vederlo come un paesaggio che sai dove si trova. Io mi metto davanti ad una tela bianca ed inizio a divagare con i sogni. Mi metto ad immaginare come si fa con le nuvole. Così nasce il colore, il punto di partenza da cui si comincia a sognare. Da questo deve nascere un'immagine, frammento di vita, ricordi, sogni”.
Parlandoci dei sogni e del suo modo di sognare su tela, spiega: «Nel nostro intimo resta sempre una parte di creatività, di sogno, di fanciullo. Tutti da bambini abbiamo sognato sia la realtà che la fantasia. Il sogno che cerco è più vicino alla fantasia che alla realtà. Immagino un angolo dell'universo nel quale ci sono case, uccellini, figure che sognano. Non a caso tutte le mie mostre si intitolano “sognando”. Quando è nata questa tecnica -ricorda Scarano- a suo tempo, ho pensato a quando ero un pastorello dodicenne. A scuola mi elogiava solo la professoressa di disegno. Tutti gli altri professori mi mettevano dietro la lavagna e io, con un gessetto, facevo le pecorelle, la casetta, già allora sognavo. Quando custodivo il gregge di mio padre, sdraiato sull'erba, sul prato, guardavo le nuvole. Ancora oggi, se guardi le nuvole e cominci a far funzionare la fantasia come quando eri bambino, tra le nuvole si vedono così tante forme e soggetti. Sognare è un ricordo della fanciullezza che ci portiamo dentro».
Molto sorpreso dalla vicinanza alla poetica del fanciullino di pascoliana memoria, nel pomeriggio ho assistito alla nascita di un sogno a partire dal colore. Con gesti delicatissimi, vere e proprie carezze sulla tela, come volesse tutelare il sogno o la sua purezza, hanno preso forma le prime figure. Sembrava davvero di avere danti nuvole con cui sognare. Di fronte all'espressione più pura e informe dell'inconscio, che non si può sapere dove porta o cosa suggerisce, si cominciavano ad intravedere le prime forme di donna, di vele, di volti, paesaggi improbabili, riflessi, elementi architettonici interrotti. Tutto si riconosce ma in realtà non è ciò che sembra, si intravede perché la fantasia vuole il sogno “evanescente, mutevole, perso appena si aprono gli occhi”.
Tutto si basa sul colore da cui parte il sogno di un momento che tra pochi minuti potrebbe essere diverso o non esserci più. Un lavoro di estrema delicatezza, in cui la semi-coscienza si lascia guidare dall'espressione dell'incoscienza. Per la mutevolezza dell'inconscio, le suggestioni possono cambiare nello stesso modo in cui i sogni possono diventare incubi.
Nelle tele di Scarano vi sono spesso motivi ricorrenti, simboli, indizi che si lasciano intravedere, accenni frammentari di figure, come avviene nei sogni in cui si riconoscono figure che sembrano o ricordano frammenti di vita vissuta.
Volti con il più ampio corollario di espressioni ed emozioni: a volte felici, a volte in contemplazione, cupi o preoccupati da un presagio. Sempre persi nel sogno, per ricordare che non siamo affatto di fronte a una tela, ma di fronte a un “sogno del quale loro stessi sono parte” e dal quale non usciranno se non perdendo la loro stessa esistenza.
Uccelli, simboli di pace e libertà di sognare. Non vengono disegnati quasi mai ad ali spiegate, sempre in attesa o sul momento di spiccare il volo, quasi a voler ricordare che il sogno può fuggire via in qualsiasi momento per non tornare mai più.
Figure femminili, spesso dall'aria riservata o di schiena, perché “la donna dona la vita, è madre di tutto” e per questo sono presenti in ogni quadro.
Paesaggi indefiniti, accenni di palazzi, archi ed elementi architettonici interrotti, spezzati. Tutti ricordi del passato. Spezzati perché nel sogno c'è posto solo per frammenti di vita vissuta, che si ripropone come ricordo frammentario. Per questo nelle tele del maestro Scarano, come avviene nei sogni, possono spuntare accenni che ricordano un certo edificio o un certo paese: «Spesso si tratta di tracce di Ortona, che porto nel cuore sempre con me... per questo ricorrono spesso la cupola di San Tommaso, il faro...» Tutto si rompe in frammenti perché il sogno non ha concretezza, è ancora meno concreto dei ricordi.
Tutti questi elementi caratteristici della sua arte ricorrono più spesso in bianco che in altri colori e sempre trasparenti, evanescenti. Il bianco è il colore della purezza in quanto “il sogno è puro, difficilmente diventa realtà e difficilmente è rappresentanza della realtà”. L'attenzione alla trasparenza per ricordare l'evanescenza del materiale onirico, la sua delicatezza estrema. Motivo per cui anche il gesto pittorico deve essere molto leggero, una vera e propria carezza sulla tela.
L'ora volgeva verso sera e qualche campana già mandava i suoi rintocchi, quando un alito di vento ci sorprese a vedere un quadro finito. Il colore e le vele, elementi principali della tela, hanno subito suggerito a entrambi il titolo, così abbiamo visto nascere “Aria Marina” del maestro Mario Scarano di Ortona. Dopo il commiato, ho lasciato l'Atelier accompagnato dallo stupore e dai rintocchi di una campana lontana. Gli echi degli strumenti che mi avevano accolto erano ancora intrappolati nel vicolo.