Il Carnevale abruzzese è una festa complessa di grande valore storico. Un'eredità ingiustamente smorzata dai modelli consumistici. Mentre una volta era diffusissimo, attualmente il carnevale antico è rappresentato solo in alcuni comuni teatini e non tutti gli anni (Castiglione Messer Marino, Schiavi d’Abruzzo, Vasto, San Vincenzo di Guardiagrele, Palombaro). E non mancano punti in comune con i carnevali tradizionali di paesi lontani (Paesi Baschi, Piemonte e Sardegna).
Spettacolare quanto gli altri carnevali ma più partecipativo perché di orgine corale. Nella storia è stata una festa di transizione e trasformazione, di rovesciamento delle parti, di sacrificio e purificazione, di ristabilimento dell’ordine delle cose. In questi significati profondi persi nel corso degli anni, si cela il più elevato valore culturale della ricorrenza. La quantità e il significato dei simboli suggeriscono che il carnevale abruzzese, in origine, sia stato una festa propiziatoria della ripresa vegetale dopo la stasi dell'inverno. Infatti, la cicerchiata nasconde forti significati profondi: i grani ricordano il potere germinale dei semi e la forma circolare allude all’eterno rinnovarsi del ciclo naturale.
Le feste iniziano dopo le celebrazioni in onore di Sant'Antonio Abate. Dei tre giovedì (degli amici, dei parenti e grasso), solo l'ultimo è sopravvissuto. Durante questo periodo proliferavano i saltarelli (chiamati anche trescunë). La mascherata è un'usanza trasversale con varianti poco conosciute. Quella più comune in Abruzzo consiste di varie fasi: il canto dei mesi (mesciarule, mascherata dei mesi) e il palo intrecciato (danza propiziatoria eseguita fino al primo maggio avvolgendo e svolgendo nastri colorati intorno a un palo), la carnevalata (messinscena di origine medievale), la morte di Carnevale (scaccione nella versione meno cruenta), il funerale e il rogo di Carnevale e cortei di caccavelle (dal lat. caccabus = pentola) al grido di "fora fora carnuvale" (significato apotropaico).