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Com'è Profondo il Mare

Estate meno libera senza spiagge libere. Come il Covid ci porta via un altro pezzo di vita

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Il mare è un'altra cosa. Lo capisci da piccolo. Dopo aver capito che c'è la (C)hiesa e la (c)hiesa, il Calcio e il pallone, il bene e l'amore. Sono cose che s'assomigliano ma sono profondamente diverse. Vale pure per il mare. C'è mare e mare. Il Covid pretende che la classe politica e quella imprenditoriale diano risposte immediate ad interrogativi, cui forse la soluzione è troppo amara da accettare. Certe cose se le cambi, non ci sono più. O le lasci come natura le ha fatte o non ci sono più.
Per non sacrificare del tutto la stagione balneare la Regione ha pensato di posizionare anche sulle spiagge libere ombrelloni e sdraio e di regolarne l'accesso mediante la prenotazione tramite app. Si deve pur apprezzare la non inattività e ignavia della politica, e così quella dei balneatori che si sobbarcano ulteriore lavoro in momento di crisi, a fronte di un calo della loro forza lavoro, in cambio di un compenso calmierato che, altra nota positiva, sarà a carico della regione e non dei bagnanti. Si cerca così di salvare la stagione, ma il mare non si salva a colpi di Plexiglass e App, nonostante le buone intenzioni.
Ci si illude di realizzare un minore dei mali, ma non si ammette che comunque un certo mare ci viene tolto. Si vanno ad accomunare, infatti, delle esperienze che pur svolgendosi sulla medesima costa teatina o pescarese, sono profondamente diverse. Non si può accomunare il mare dei lidi con quello dei Ripari di Giobbe o del Lido Saraceni.
Nel primo caso si va al mare per stare immersi nella medesima socialità che troviamo nelle nostre città tutto l'anno. Il lido diviene il palcoscenico del medesimo struscio invernale che troviamo per i corsi cittadini, con spesso gli stessi volti e gli stessi stili a popolarlo, solo che al mocassino si sostituisce l'infradito. E va bene così. Grazie all' infaticabile lavoro d'accoglienza e fantasia dei balneatori, i lidi diventano luoghi di movida, dove si può ballare, fare attività fisica di gruppo, sono aggregatori sociali per grandi e piccoli che è certo giusto preservare.
La spiaggia libera è un'altra storia. Lì si va per il mare, per stare in un luogo naturale, al pari della montagna e del bosco. Malgrado non manchino, specie in certe spiagge magari interposte tra due lidi, occasioni comunitarie, in altri luoghi nelle spiagge libere, specie agli orari giusti, si può stare più tranquilli e più in solitaria, anche in due. La spiaggia libera è spontanea, ci si va spesso all'ultimo, come idea del tardo pomeriggio, dopo aver lavorato.
Poi i personaggi che la popolano sono variegati, dai piantatori indefessi d'ombrelloni, a schiere di apparecchiatori di mini-tavolate multiportata, fino a ragazze e ragazze con l'aria misteriosa, la pelle cerulea e un perenne libro che li ammanta di mistero e distacco.
Lidi e spiagge libere hanno insomma clientele diverse, e si trasformeranno le seconde nei primi, gli avventori abituati alla comodità spartana, anarchica e solitaria dei lidi franchi, difficilmente torneranno.
Cornici come i Ripari di Giobbe o la Riccetta o alcune perle nascoste della costa dei trabocchi, sono palcoscenici naturalistici, che per spirito e per conformazione, mal si attaglieranno a essere prenotati e colonizzati da sdraio e ombrelloni. Saranno sempre gli stessi i posti e al contempo non ci saranno più. Meglio sarebbe affidare sì la sorveglianza ai balneatori vicini o ancora meglio a Vigili urbani o ancora a figure assunte ad hoc, con fondi da richiedere allo Stato, magari dando il privilegio d'accesso a chi il lavoro stagionale nel lido lo ha perso. Tutelare lavoratori e titolari di stabilimento sì, ma in maniera più discreta e senza dargli l'onere di installare ombrelloni e quant'altro. Se con controllo e distanziamento si può garantire sicurezza sui posti di lavoro, lo si può fare pure al mare. Qui sta l'inghippo. Il mare dovrebbe stare agli antipodi dal lavoro, dalle file, dalle prenotazioni. In questa distanza dovrebbe consistere la vacanza dalla nuova onnipervasiva normalità.
Sicuramente è corretto dare fondi alle attività di balneazione, punti di riferimento per turisti e cittadini affezionati, ma meglio sarebbe a fondo perduto e non in cambio di qualche ulteriore attività.
La colpa, sia chiaro è delle circostanze e non di scelte politiche che mettono toppe dove possono, tuttavia sarebbe interessante che organizzazioni attive e competenti come Legambiente e WWF, apportassero qualche contributo d'idea o di soluzione alternative.
Questo virus, ormai è chiaro, è un flagello. Ci porta via cari e posti di lavoro, e va a toglierci anche quelle parentesi di spontaneità e natura che la nostra terra ci regalava.
Il virus impone sacrifici, si spera siano almeno temporanei, come temporanei siano ombrelloni e sdraio sulle spiagge libere, e che al cittadino possa essere lasciato, con i debiti controlli da parte delle autorità preposte, qualche spazio di libertà. Altrimenti la china sembra scivolosa, e sembra condurre a montagna e mare a numero chiuso, con prenotazioni e file da fare, al pari di qualunque spazio cittadino.
Non resta che aspettare che passi, quando forse purtroppo la stagione anche sarà passata, magari passeggiando sul lungo mare d'inverno fischiettando, nell'attesa di un "mistico forse un aviatore che inventi la commozione", per quel mare che non lo puoi prenotare e non lo puoi contingentare, né transennare, perché "il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole", diceva quel tale.

 

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