Il Ferragosto si è concluso alla grande al Lido Eldorado di Ortona, che ha offerto ai moltissimi presenti una grande festa e la possibilità di assistere alla performance dei Righeira. Il giorno seguente, il duo ci ha concesso una lunga e piacevole chiacchierata sulla loro carriera e sulla loro visione del futuro della musica pop italiana.
Siete i padrini della Italo Dance, un genere tutto nostrano che negli anni Ottanta ha raggiunto un notevole successo anche all’estero. Com’è nato il vostro progetto?
Michael: è nato dalla combinazione di una buona idea e da una gran dose di fortuna. C'era un clima generale favorevole. Dal punk abbiamo imparato che non importava avere grandi conoscenze strumentali per realizzare le nostre idee. E’ così che abbiamo iniziato a sperimentare portando in Italia i suoni elettronici. Questo ha consentito a noi e ad altri di uscire fuori dall’underground con dei progetti di successo.
Talmente di successo che siete riusciti ad esportare la vostra musica all’estero, scalando le classifiche internazionali, cosa che raramente riesce alla musica italiana...
Johnson: è stato il periodo in cui c'erano in classifica brani italiani in tutta Europa...abbiamo avuto l’intuizione di proporre una musica semplice ma innovativa, miscelando i suoni elettronici - a cui il pubblico internazionale era già abituato a differenza di quello italiano - con la componente melodica tipicamente nostrana. E’ nata così la Italo Disco. E faceva una dura concorrenza ai big tedeschi ed inglesi della Dance.
Come vedete l’attuale recupero di quelle sonorità e di quell’atmosfera? Il pubblico di oggi fruisce in maniera diversa della vostra musica, rispetto al vostro primo pubblico?
Michael: dopo gli anni “tecnoidi”, si è sentita nei club la necessità di un certo alleggerimento...Inoltre, nel momento in cui a livello creativo e culturale c'è una certa stagnazione è quasi inevitabile andare a pescare in quel periodo. I pezzi dance di quell’epoca, non solo i nostri ma anche di altri, sono rimasti nella memoria collettiva ed è naturale che oggi chi si approccia alla musica parta da ciò che conosce e che sente come “familiare”.
Nonostante, in generale, non si abbia una buona considerazione della musica di quegli anni…
Michael: purtroppo gli Anni Ottanta sono stati additati come negativi, non sono anni molti stimati dalla critica musicale. In realtà sono stati anni ricchi di novità e di stimoli, c’era un grande fermento artistico e c’erano tutte le possibilità per realizzare ogni tipo di progetto. I giudizi negativi li trovo paradossali, a guardare come siamo messi oggi. Questo mi dispiace, perché al di là dei giudizi, i giovani ascoltano le nostre cose e vengono a congratularsi. Ci piacerebbe che, a livello mediatico, si ponesse l’attenzione su ciò che gli artisti possono ancora fare. Invece di spazio non ce n’è. Ad esempio, nel 2007, con l’album nuovo in uscita, abbiamo chiesto di partecipare a Sanremo e ci hanno detto di no.
Noi, ma anche altri di quel periodo, siamo stati messi in un angolino.
Quindi vedete una possibile evoluzione del vostro genere musicale?
Michael: certo, purchè si abbia il coraggio di fare le proprie scelte e di sperimentare. Ad esempio i Subsonica, con i quali abbiamo collaborato volentieri per il brano “La Funzione”, sono una grande band che è venuta fuori suonando nei club, com’è stato per noi e come dovrebbe essere.
Quali sono gli ostacoli ad una libera sperimentazione?
Michael: oggi la musica è un fenomeno televisivo, le novità della musica Pop passano per i Talent-shows. Questi sono fabbriche di illusioni, ma il nostro mercato musicale non può recepire 3-4 nuove Pop Stars all’anno. Non c’è nulla di male se un ragazzo giovane ha voglia di provarci, ma il problema è che oggi la musica (non tutta per fortuna) passa attraverso un unico medium che è la televisione. Se prima, per la musica, questa era l’ultima via, ora è diventata la prima. E questo ha costretto la musica ad adattarsi alle sue regole. In questo le radio ed i grandi network hanno le loro belle responsabilità. Le prime dovrebbero fare scelte coraggiose, i secondi dovrebbero tornare a fare ricerca. Purtroppo i grandi network sono strutturati per “acchiappare” il più vasto numero di persone, mantenendo così alto l’investimento pubblicitario. Ed è tutto qui, si fa radio e televisione per la pubblicità, non di certo per la musica.
Johnson: oggi non è un grande momento per la musica, è un momento di passaggio, per cosa non si ancora...
Dunque siamo fermi, ma ci auguriamo che arrivi presto qualche coraggioso che possa indicare una nuova strada?
Michael: noi non possiamo farlo, i musicisti sono come i matematici che danno il meglio di sé al massimo intorno ai trent’anni. Mi auguro che arrivi qualche giovane con spirito critico, che sappia rielaborare ciò che c’è stato per crearne qualcosa di nuovo.
Insomma,“stare alla larga” dai circuiti considerati “mainstream” per mantenere la libertà di creare, senza la tentazione dell’ambizione e il miraggio del successo. A questo proposito c’è qualcuno, nel panorama italiano, che ritenete faccia un lavoro interessante?
Michael: oggi ci sono i Calibro 35, questa band mi piace...una cosa buona, un progetto di rielaborazione di un particolare immaginario sonoro e stilistico proposto in maniera del tutto personale, al di fuori dei soliti circuiti.
Johnson: ci auguriamo in futuro di scoprirne altri. Non abbiate il timore della critica. Noi ne siamo la prova. Bisogna sempre ricordarsi che i giornali non avrebbero modo di esistere se non ci fossimo noi a riempirli di contenuti. E’ il contenuto ciò che conta, la forma, spesso, è irrilevante.