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Professione Pedagogista

L' intervento della dr.ssa Monica Di Clemente.

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«Signorina, mi scusi… ma chi è il Pedagogista?

Cosa fa?
Si occupa di bambini?
Per caso si tratta di un modo nuovo per chiamare la “maestra”?»
Ecco… è proprio questa la situazione in cui, spesso, noi pedagogisti ci troviamo.
Molto spesso.
Ancora domande di chiarimento su di una professionalità così “datata” come la nostra.
Bisognerebbe, infatti, spiegare, ad ogni persona che chiede delucidazioni in merito, la storia della Pedagogia, la storia dell’affermazione della figura del Pedagogista.
Una storia millenaria.
Ma è difficile farlo in pochi minuti.
Uno dei più potenti “mezzi” a nostra disposizione per diffondere la cultura pedagogica è proprio la stampa, sia cartacea sia telematica, come anche internet, i social network, le realtà associative radicate sul territorio in cui viviamo.
Non esistono, di fatto, metodi più efficaci per farsi conoscere ai più, al di fuori del contesto accademico e dei tanti colleghi, pur presenti sul territorio, ma ancora poco “conosciuti”, perché solitamente operanti in contesti diversi da quelli prettamente pedagogico-professionali.
Eppure, oggi più che mai, risulta impellente il ricorso ad una figura professionale come la nostra. Un professionista, cioè, che si occupa di Educazione a 360 gradi, secondo una visione educativa ben diversa da quella propagandata fino a pochi decenni fa.
Pensiamo, per un attimo, ai dibattiti mediali, di diversa tipologia, soffermandoci, prevalentemente, su quel mezzo di comunicazione “pervasivo” nelle nostre abitazioni, in quanto alla portata immediata di tutti, ovvero la televisione: dibattiti e riflessioni creati, ad hoc, all’interno di salotti culturali televisivi (i noti “talk-show”), sia pomeridiani, sia di prima o seconda serata, dove intervengono, il più delle volte, professionisti come psicologi; assistenti sociali; scrittori; criminologi; avvocati; etc., “tuttologi”, competenti su varie tematiche ed, ovviamente, anche su quelle educative, invadendo campi di ricerca e studio non immediatamente di propria competenza.
Mai, tuttavia, s’intravedono Pedagogisti o Educatori, invitati a dire la loro, riflettendo e riferendo, seriamente, sull’educazione.
La pedagogia è praticamente inesistente, almeno sui canali di fama maggiore.
Rari sono i casi in cui, grazie a conoscenze particolari, pedagogisti ed educatori riescono ad “infiltrarsi” in determinati programmi che permettano loro di acquisire maggiore visibilità e quindi sensibilizzando sulla questione dell’emergenza educativa, così come sulla questione della riscoperta della nostra professione e, quindi, della necessità di ricorrere ad essa.
Un’azione di sensibilizzazione, questa, attuabile proprio attraverso la presenza di pedagogisti professionali od educatori sociali, sostanziata da brevi, seppur specifici, interventi (non necessariamente riconducibili ad argomenti di natura prettamente scolastica, cosa che accade tutt’oggi, per via di retaggi culturali ancora “vivi”), in qualità di rappresentanti di una determinata categoria professionale che deve emergere, deve farsi strada, anche in questo modo.
Se la Pedagogia professionale fatica ancora a decollare, nonostante se ne colga la necessità, è per via di un fraintendimento o non approfondimento conoscitivo della materia da parte della società in generale.
Purtroppo si è legati all’idea che il dominio pedagogico, anche in relazione all’etimologia ingannevole del termine (da παίς-παιδός “figlio” inteso come “fanciullo, giovinetto”1 e ‘άγω “guido, conduco, accompagno”), sia limitato all’infanzia, alla fanciullezza e che si tratti di una disciplina normativa-regolativa, atta a governare e guidare l’educando verso percorsi predefiniti.
In realtà, la Pedagogia non è mera prassi educativa: è 'prendersi cura' dell’educando-interlocutore (bambino, fanciullo, adolescente, giovane, adulto, anziano, persona portatrice di special needs), pienamente, creando delle condizioni vantaggiose, propizie affinché ciò avvenga, attraverso il ricorso ad un’adeguata e specifica metodologia.
È arrivato, ormai, il momento di prendere posizione e consapevolezza sul fatto che la Pedagogia interessa tutta la vita umana (dalla nascita alla morte), tutte le richieste sociali e culturali così come la formazione iniziale e continua delle professioni intellettuali superiori.
La Pedagogia non può e non dev’essere più relegata esclusivamente allo studio, all’approfondimento, alla 'curatela' di soggetti in età di sviluppo.
Il pedagogista è un professionista intellettuale superiore dell’area umana e sociale, capace di riflettere sull’educazione a livello sociale, dotato di competenze specifiche, con una preparazione culturale qualitativamente avanzata e poliedrica (studio ed approfondimento di discipline pedagogiche, sociologiche, psicologiche, umanistiche e sociali in generale), in grado di rispondere, efficacemente ed efficientemente, ad una riscoperta domanda e ad un ridondante bisogno d’aiuto (la Pedagogia professionale, infatti, è una professione sociale d’aiuto); un esperto non più relegato, esclusivamente, all’ambito scolastico e quindi in grado di relazionarsi solo con soggetti in età di sviluppo, ma 'aperto' alla pluralità di individui intesi come persone che vivono e si realizzano all’interno di diversi contesti sociali (Scuola ed extra-scuola; Sanità e Servizi Sociali; Azienda; etc).
Bisogna ri-considerare la Pedagogia, riconoscerla come studio teorico ed applicazione professionale, nonché prassi operativa dell’educazione che va recepita come processo che dura tutta la vita e che genera trasformazioni e sviluppi continui per tutti, dal bambino al fanciullo, dall’adolescente al giovane, dall’adulto all’anziano, nonostante ciò fosse valido da sempre ma non accreditabile.
La pedagogia studia la persona umana dal punto di vista della sua educazione e non va confusa, inglobata o ridotta, in maniera semplicistica ed approssimativa, ad altre scienze che studiano l’uomo da punti di vista differenti (andrologia, gerontologia, filosofia, sociologia, psicologia, medicina, diritto, etc.).
Pertanto, nel suo ri-emergere come professione superiore, pur ri-collegandosi al suo originario apparato teorico e pratico, richiede elementi dottrinali e metodologici, un proprio lessico ed un complesso di tecniche e procedure volti a conferire dignità professionale (come avviene anche per altri professionisti, operanti in diversi ambiti lavorativi), a tutti coloro che si accingono ad operare da Pedagogisti o da Educatori.
Attualmente, purtroppo, non è ancora possibile riscontrare questo riconoscimento sostanziale nella società o, almeno, non in tutte le realtà sociali che tendono, invece, a riconfermare quei retaggi culturali relativi alla ri-proposizione dell’equazione tanto comune: Pedagogia=Bambini=Scuola, impedendo, perciò, un 'intelligente' inserimento quindi 'spendibilità', di Educatori e di Pedagogisti in altri e molteplici contesti socio-educativi.
Se, dunque, esiste l’educazione come fenomeno umano specifico e definito ed esiste una scienza che specificamente la studia, la pedagogia, esiste da sempre (da 2500 anni) uno studioso ed un professionista deputato all’approfondimento ed alla gestione dei problemi pedagogici: il Pedagogista.
La formazione base2 del Pedagogista è riconducibile ad un percorso di laurea quinquennale in Scienze della Formazione:
1) 3+2 N.O. (Triennale + Specialistica/Magistrale);
2) 5 anni V.O. per i laureati in Pedagogia poi Scienze dell’Educazione/Formazione Primaria3
La sua azione si rivolge alla persona in chiave evolutiva (infanzia-adolescenza) e permanente (adultità – anzianità) ed alle istituzioni e sistemi (famiglia – scuola - équipe educativa ed interprofessionale - comunità ed organizzazioni).
Il pedagogista approfondisce, riflette sui problemi pedagogici odierni, cercando di fronteggiare, di gestire quell’emergenza educativa in cui riversa la nostra società, contraddistinta da crisi valoriale ed educativa, appunto.
Più specificamente, potremmo definirla una figura professionale poliedrica e polivalente con competenze finalizzate all’analisi critica e complessa delle situazioni individuali, familiari, lavorative, di gruppi e di comunità; alla programmazione e progettazione di percorsi e protocolli educativi, formativi, di evoluzione personale e di recupero, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie, di materiale strutturato e non strutturato e di risorse umane, finanziarie e logistiche; al coordinamento, alla dirigenza, alla consulenza, all’orientamento ed alla promozione di iniziative educative rivolte a singoli, gruppi, organizzazioni e reti inter-istituzionali.
In particolare, si segnalano come luoghi elettivi del lavoro del pedagogista i seguenti ambiti di intervento:
1) educativo, sociale, assistenziale;
2) socio-sanitario (finalità di Prevenzione)4;
3) scolastico, formativo, ambientale e (inter-)culturale;
4) giuridico minorile ed adulto (mediazione ed accompagnamento del minore durante i processi; coordinamento area socio-educativa e pedagogica nell’amministrazione penitenziaria)5;
5) dei servizi per l’impiego e per le imprese (formazione ed aggiornamento professionale; selezione del personale);
6) del terzo settore e della pubblica amministrazione (Coordinamento e Dirigenza nel Sociale).
Il pedagogista può, inoltre, operare, in qualità di libero professionista, in tutti i settori previsti dal ruolo6.
La figura professionale del Pedagogista è già prevista, a livello di consulenza e dirigenza dei servizi, in alcuni Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro:
CCNL Cooperative Sociali - Testo di Accordo 2006-2009;
CCNL per Dipendenti del Settore Socio-Assistenziale-Educativo UNEBA - quadriennio 2002-2005;
CCNL per il Personale dipendente delle Strutture Sanitarie Associate AIOP, ARIS e FDG - parte normativa 2002-2005 e biennio economico 2002-2003;
CCNL AGIDAE – Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica - luglio 1994 – dicembre 1997;
Ipotesi di Piattaforma CCNL AGIDAE 2010-2012 (possibilità di ampliamento con CCNL scuola e CCNL istituti socio-assistenziali – vedi sito AGIDAE);
Ipotesi di Piattaforma CCNL ANASTE 2010 – 2012 (possibilità di ampliamento CCNL ANASTE 2002-2005);
CCNL Formazione professionale (Forma-Cenfop SNS-CGIL, CISL Scuola e UIL Scuola) - 1998-2003.
Ai sensi della normativa europea (Proposta di Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio 2006/0163 – COD - sulla Costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente), si specificano le conoscenze, le abilità e le competenze che delineano il profilo professionale in uscita (abilità e competenze, acquisite, soprattutto, attraverso la pratica professionale, all’inizio, necessariamente, sottoforma di tirocinio formativo “supervisionato”).
Un ultimo traguardo raggiunto a livello di riconoscimento normativo, è stata la legge n. 4 del 14/01/2013 recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” che ha costituito uno degli ultimi atti della XVI legislatura ma soprattutto un approdo di oltre vent’anni d’azione per il riconoscimento della professione di Pedagogista come per quella di altre professioni di cultura pedagogica, assieme a decine di altre professioni intellettuali e sociali, non organizzate in ordini o collegi professionali.
Saranno “associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun  vincolo di rappresentanza esclusiva” a vedersi attribuito il compito di “valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza” (art. 2).
Alla luce di tutto ciò, seppur questa non sia una ricognizione esaustiva e completa della professione di Pedagogista, per ovvie ragioni, sorge spontanea una riflessione: perché, ancora oggi, noi pedagogisti, dobbiamo qualificarci di fronte a professionisti presenti ed operanti a livello politico e sociale, cercando di far capire loro chi siamo, qual è la nostra storia, quali sono i nostri studi, quali sono le nostre conoscenze specifiche, le nostre abilità, le nostre competenze?
Perché risulta così difficile documentarsi su quanto sia fondamentale il nostro apporto sociale, anche e soprattutto in un periodo critico, come il nostro, dove il disagio, i casi di violenza, il reclamo della necessità educativa diventa sempre più forte?
Perché è così difficile riconoscere l’importanza dell’operare della figura apicale pedagogica professionale, all’interno dei piani di zona e della progettazione sociale pubblica in generale?
Per imperizia, per volontà e/o per convenienza, comunque, si continua a sminuire o, addirittura, a 'boicottare' l’emergere della nostra professione in tali settori… forse perché 'scomoda', per certi aspetti.
“Ai posteri l’ardua sentenza”…



Dott.ssa Monica Di Clemente
Pedagogista Certificata Uniped AP-005/13 

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